L'arte al servizio della fede

“Se un pagano viene e ti dice: Mostrami la tua fede!, tu portalo in chiesa e mostra a lui la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei quadri sacri”.

E’ il suggestivo monito di San Giovanni Damasceno, il cantore delle icone, per definire la funzione decisiva dell’arte nel primo annuncio della fede, ma anche nella catechesi, come attesta quella Biblia pauperum i cui fogli sono le “pagine” colorate degli affreschi o quelle di pietra dei bassorilievi e delle sculture che per secoli hanno spiegato i testi sacri anche a chi non sapeva leggere.

In tutte le fasi storiche dell’Occidente, l’arte nella sua molteplicità è stata infatti uno dei tanti tramiti per proclamare simbolicamente i contenuti del messaggio di fede, sì che lungo i secoli si è andato costituendo un vero e proprio kérygma, un annuncio di fede, di morale, di spiritualità, simile ad un meraviglioso arcobaleno fatto di simboli, immagini, parole, suoni.

A questa “estetica teologica”, per usare la celebre formula del teologo Hans Urs von Balthasar, appartengono di diritto le opere del giovane Mario Mansi, rappresentante di quella generazione di nuovi artisti nei quali arte e fede finalmente tornano a parlarsi, a fare la pace, dopo decenni di incomprensione e, a volte, di discutibile sperimentalismo, che ha finito inevitabilmente per confondere gli animi più semplici e allontanare l’arte sacra dal suo “nobile ministero”: quello di riflettere, in qualche modo, l’infinita bellezza di Dio, di rendere percepibile e, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio, e indirizzare a Lui le menti degli uomini, trasferendo in colori e forme ciò che è in se stesso ineffabile.

Se la funzione dell’arte sacra è quella di indirizzare le menti a Dio, le opere di Mansi sono “belle” semplicemente perché “aiutano a pregare”, e in ciò realizzano appieno lo scopo ed il senso stesso dell’arte sacra.

“Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza, per non cadere nella disperazione”, ammonivano i Padri del Concilio Vaticano II. “La bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione” (Sacrosanctum Concilium 19).

Profondamente convinto di ciò, il 7 Maggio 1964, sotto le volte michelangiolesche della Sistina, il Beato Paolo VI proponeva agli artisti di tutto il mondo di tornare a far pace con la Chiesa: “Rifacciamo la pace? Vogliamo ritornare amici? Noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. E’ il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità, conservandone tuttavia l’ineffabilità, il senso della loro trascendenza, il loro alone di mistero”.

E concludeva: “Noi abbiamo già, da parte nostra, noi Papa, noi Chiesa, firmato un grande atto della nuova alleanza con l’artista… Ripeto, il nostro patto è firmato. Aspetta da voi la controfirma”.

Grazie a Mario Mansi per aver “controfirmato” e aver in tal modo contribuito a riportare l’arte sacra al suo “nobile ministero”!

Don Paolo D'Ambrosio

Rettore del Santuario di Viggiano (PZ)